venerdì 29 febbraio 2008

Ventunesimo Capitolo

Qui ad Atene noi facciamo così: qui il nostro governo favorisce i molti, invece dei pochi, e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così: le leggi, qui, assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza, quando un cittadino si distingue, allora esso sarà a preferenza di altri chiamato a servire lo stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa, al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così: la libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana, noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro, e non infastidiamo mai il nostro prossimo, se al nostro prossimo piace vivere a modo suo, noi siamo liberi, liberi di vivere, proprio come ci piace, e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo. Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari, quando attende alle proprie faccende private.
Qui ad Atene noi facciamo così: ci é stato insegnato di rispettare i magistrati e ci é stato insegnato anche di rispettare le leggi, e di non dimenticare mai coloro che ricevono offesa, e ci e’ stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte, che risiedono nell’universale sentimento di ciò che é giusto, e di ciò che é buonsenso
Qui ad Atene noi facciamo così: un uomo che non si interessa allo stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile, e benché in pochi siano in grado di dar vita a una politica, beh, tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia. Noi crediamo che la felicita sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma io proclamo Atene scuola dell’Ellade, e che ogni ateniese cresce prostrando in se una felice versatilità la fiducia in se stesso e la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione. Ed é per questo che la nostra città é aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così!
Pericle - V sec avanti Cristo

Sono passati 2400 anni.
Cosa è cambiato? Il nostro secolo sarà ricordato per essere sempre in periodo di campagna elettorale? La nostra nazione è e sarà sempre "potenza", senza poter mai divenire "atto".

venerdì 22 febbraio 2008

Ventesimo capitolo

"I politici dovrebbero leggere fantascienza, non western o storie di polizia."
A.C.Clarke

Dove trovare la forza di andare avanti? Come si può avere ancora fiducia nel prossimo, nel giorno che verrà, nel domani migliore. Tutte storie. Qui ognuno pensa a sè, alla sua baracca di legno e ai burattini di cui ha in mano i fili. Nessuno guarda avanti.
Vedo una classe politica vecchia e con idee vecchissime, impolverate, pulite, e presentate come nuove rivoluzioni. Ma chi credete di prendere in giro? Ogni tanto credo che vivano in una realtà parallela. Credo che ci prendao per stupidi. Ma alla fine poi, forse lo siamo. Crediamo nella democrazia, nel potere della collettività, nei diritti, nella legge uguale per tutti. Dove andremo a finire?
E poi non abbiamo un grande personaggio, un traghettatore di anime. I grandi pensatori non ci sono più, la filosofia si è arenata a caccia di un nuovo spunto. Ci manca una figura di riferimento.
Spero e confido in una nuova idea forte, in una nuova figura di riferimento. Sconquassante. Un terremoto. Subito dopo però tremo al pensiero. Chi sarà? Sarà una nuova luce di speranza, o l'alba di una nuovo nazismo? Non lo so.
Alla fine, l'unica cosa da fare e continuare ad indignarmi del presente per salvaguardare la mia anima. E aspettare.
Per cosa sarà ricordata la nostra età?

martedì 12 febbraio 2008

Diciannovesimo capitolo

La passeggiata

Voi non mi amate ed io non vi amo. Pure
qualche dolcezza è ne la nostra vita
da ieri: una dolcezza indefinita
che vela un poco, sembra, le sventure
nostre e le fa, sembra, quasi lontane.
Ben, ieri, mi sembravano lontane
mentre io parlava, mentre io v'ascoltava,
e il mare in calma a pena a pena ansava,
ed eran quei vapori come lane
di agnelli, sparsi in un benigno cielo.
Mi veniva da voi o da quel cielo
e da quel mare l'umile riposo?
Certo, in un punto, io fui quasi oblioso.
Lane di agnelli, gigli senza stelo,
vaghe bianche apparenze, in cielo, in mare...
Come leggero ai lidi ansava il mare!
Il vostro passo diventò più lento.
Come leggero anche! Ed io era attento
più la ritmo di quel passo o a quell'ansare,
o a le vostre parole, o al mio pensiero?
Parea che io non avessi alcun pensiero.
Non pensava. Sentiva, solamente.
Dite: non foste mai convalescente
in un aprile un po' velato? È vero
che nulla al mondo, nulla è più soave?
Qualche cosa era in me, di quel soave.
Pure, voi non mi amate ed io non vi amo.
Pure, quando vi chiamo, io non vi chiamo
per, nome. E il vostro nome è quel de l'Ave:
nome che pare un balsamo a la bocca!
Quando parlate, io non guardo la bocca
parlare, o al men non troppo guardo. Ascolto;
comprendo, vi rispondo. Il vostro volto
non muta se la mia mano vi tocca.
La vostra mano è quella che non dona.
Nulla di voi, nulla di voi si dona.
Però, nulla io vi chiedo, nulla attendo
se bene, debolmente sorridendo
come chi langue e pur non s'abbandona...
Oh, no! Voi eravate, ieri, stanca.
Voi eravate ieri molto stanca,
oh tanto che vi caddero di mano
i fiori. Non è vero che di mano
vi caddero le rose, tanto stanca
eravate? Così vi vedo ancóra.
E fate che così vi veda ancóra,
un'altra volta, un'altra volta sola.
Forse... Oh no. Sorridete. È una parola
vana questa che io dico. Voi, signora,
siete per me come un giardino chiuso.
Siete per me come un giardino chiuso,
dove nessuno è penetrato mai.
Di profondi invisibili rosai
giunge tale un divino odore effuso
che atterra ogni desìo di chi l'aspira.
Non ad altro la nostra anima aspira
che a una tristezza riposata, eguale.
Conosco il vostro portentoso male;
e il dolore ch'è in voi forse m'attira
più de la vostra bocca e dei capelli
vostri, dei grandi medusèi capelli
bruni come foglie morte
ma vivi e fien come l'angui attorte
de la Górgone, io temo, se ribelli,
e pieni del terribile mistero.
Me non avvolgerà tanto mistero.
Dicono che nel folto de le chiome
voi abbiate una ciocca rossa come
una fiamma: nel folto chiusa. È vero?
Io la penso, e la veggo fiammeggiare.
La veggo stramente fiammeggiare
come un segno fatale. - O passione
arsa a quel fuoco! - Tutte le corone
de la terra non possono oscurare
quel segno unico. Voi siete l'Eccelsa.
Voi che passate, voi siete l'Eccelsa.
E passate così, per vie terrene!
Chi osa? Chi vi prende? Chi vi tiene?
Siete come una spada senza l'elsa,
pura e lucente, e non brandita mai...
Oh, dove sono giunto! Perché mai
vi dico queste cose? Perdonate
chi sogna. Perdonate, perdonate.
Il tramonto è una fiamma, e i marinai
cantano da le navi, e odora il mare.
Voi vedete: non è lo stesso mare
di ieri. Voi vedete: è un altro cielo.
Lane di agnelli, gigli senza stelo,
vaghe bianche apparenze, in cielo, in mare:
queste cose rispondon meglio a noi,
meglio a le nostre anime stanche. Noi
saremo paghi di qualche dolcezza
mite, noi cercheremo una tristezza
riposata ed eguale. Ed abbia i suoi
cieli velati Aprile, come ieri,
i suoi mari quieti, come ieri;
sì che possiamo noi recar lungh'essi
i lidi, o sotto gli alberi, sommessi
colloqui e sogni e taciti pensieri,
- o voi dal dolce nome che io non chiamo! -
perché voi non mi amate ed io non vi amo.

G.D'Annunzio